Blog è oggi un termine estremamente popolare on line. I blog sono solitamente definiti come "diari on line". In effetti ne hanno tutta l’apparenza: i contenuti sono registrati in rigoroso ordine cronologico, l’emittente è di solito un individuo, le notizie pubblicate sono brevi annotazioni, spesso di tono personale (ma anche ritagli di notizie tratte da altri siti o commenti). Rebecca Blood (2000), autrice di una storia dei primi blog e di una manuale per la loro creazione, li definisce come “siti basati sui link… un misto in link, commenti, pensieri e saggi personali”. Tuttavia questa definizione coglie solo l’aspetto più superficiale dei blog.
In effetti, diari on line sono esistiti da sempre. Perfino il primo sito web della storia, quello del Cern di Ginevra gestito dall’inventore del linguaggio ipertestuale per la pubblicazione di documenti on line Tim Barners-Lee, potrebbe essere definito un blog. Il termine blog è stato introdotto da Jorn Barger, curatore di un sito personale, nel 1997 per riferirsi alle pagine che gestiva.
Il termine nasce dalla contrazione di web e log: diario on line appunto. Fu in particolare Brigitte Eaton ad associare indissolubilmente l’idea di blog con quella di una pubblicazione di annotazioni organizzate cronologicamente: la Eaton pubblicò all’inizio del 1999 un portale, Eatonweb Portal, nel quale venivano registrati blog che rispettassero il requisito dell’organizzazione cronologica dei contenuti.
A quel tempo c’erano probabilmente non più di una trentina di siti che si riconoscevano dietro questa definizione (Blood 2000). Spesso i blogger – i curatori di un blog – non solo pubblicavano le proprie annotazioni on line, ma seguivano anche avidamente quelle dei colleghi, segnalando nelle proprie pagine web gli altri siti che visitavano (Blood 2000). Sin dall’inizio, dunque, lo strumento promosse non solo la condivisione di informazioni, ma anche la messa in relazione di persone.
Proprio nel 1999 il mondo dei blog registrò un salto di qualità grazie all’introduzione di servizi on line che consentivano di creare e tenere aggiornato un diario on line con un sistema accessibile anche a persone senza competenze tecniche. Tali servizi si basavano infatti su sistemi di content management, simili a quelli usati oggi per la gestione di siti editoriali, in cui per aggiornare i contenuti organizzati in una gabbia grafica predefinita era sufficiente compilare dei moduli on line. Prima di allora un blog era sostanzialmente la prerogativa di utenti esperti, dotati delle competenze tecniche necessarie per creare un sito.
A partire dall’introduzione di questi servizi il formato del blog divenne di dominio pubblico. Nel luglio 1999 fu lanciato il primo di questi sistemi, Pitas, e presto i blog attivi divennero centinaia. I servizi più noti e ancora oggi diffusi seguirono di lì a poco: in Agosto Pyra mise on line Blogger, Dave Winer introdusse il sistema “Edit This Page” e Jeff A. Campbell lanciò Velocinews. Tutti questi servizi erano rigorosamente gratuiti (Blood 2000).
Questa semplice rassegna dovrebbe suggerire che i blog sono molto di più che semplici diari on line. Essi hanno altre caratteristiche distintive. In primo luogo sono in genere associati ad individui, non organizzazioni. Pertanto sono espressione di informazione estremamente personalizzata proveniente da singoli individui che non operano all’interno delle classiche routine delle aziende editoriali. Si discute se anche i giornalisti professionisti debbano tenere blog e, qualora lo facciano, come considerare questi prodotti.
Indubbiamente, la natura immediata dell’informazione fornita dai blog porta molti ad affermare che essi rappresentano uno strumento utile per allargare il pluralismo dell’informazione e dare voce a più soggetti. Queste affermazioni vanno lette alla luce delle considerazioni che seguono.
Una seconda proprietà distintiva che emerge dalla storia dello sviluppo del web, è la sua ipertestualità. I link sono una componente fondamentale delle annotazioni dei blogger. Spesso è proprio un sito originale o una notizia letta on line a stimolare la pubblicazione di una nuova annotazione. Come conseguenza di questo, spesso le riflessioni contengono citazioni tratte da altri siti (facilitate dal semplice copia e incolla) e costituiscono microtesti in un certo modo non autonomi, ma sempre collegati alle pagine a cui rimandano.
L’importanza della dimensione ipertestuale dei blog è dimostrata tra le altre cose dal fatto che l’uso dei link su questi siti può perfino influenzare il posizionamento di una pagina su Google. Il motore di ricerca tiene infatti conto non solo dei contenuti di una pagina, ma anche dei link che essa riceve per determinarne l’indicizzazione in rapporto alle parole chiave usate nella ricerca (Miani 2004).
Un’importante conseguenza di questa situazione è che i blog svolgono un’importante funzione di filtraggio. I contenuti on line sono infatti derivanti dalle navigazioni dell’autore (o dagli autori se il blog è gestito da più persone).
Una terza proprietà che emerge dai blog è il dialogismo e la dimensione di “community” che li accompagna. Non solo i blog sono calati in una fitta trama ipertestuale di collegamenti, ma stimolano esplicitamente questa dimensione sollecitando i commenti dei lettori e spesso linkandosi ad altri blog.
Oggi, quasi tutti i sistemi di blog contengono la possibilità di accettare i commenti dei lettori sulle singole notizie pubblicate. In questo modo, i contenuti dei blog sono sempre aperti a forme di dialogo tra l’autore delle annotazioni, i suoi lettori e, perché no, perfino le fonti. C’è anche chi ha estremizzato questa situazione. Inventato dagli autori del popolare Hotornot, Yafro blog < http//:www.yafro.com > permette di uploadare le foto e di inserire nel profilo persone che l’utente ritenga simpatiche sulla base dei loro commenti e del loro modo di presentarsi.
Non sarà un caso che uno dei libri più citati dagli autori di blog è Linked, una bella introduzione allo studio delle reti sociali scritta da Albert-László Barabási (2003) (2).
Sono dunque i blog giornalismo? Lo sono nella misura in cui realizzano alcune funzioni tipiche del giornalismo come l’intermediazione e la selezione delle notizie. Tuttavia le similarità si fermano qui. Come prodotti individuali e di tono personale, non sono presenti molte delle caratteristiche del linguaggio giornalistico, per non parlare di quelle organizzative.
Un caso esemplare è rappresentato dal paragone tra i reportage di guerra e i cosiddetti “war blog”, ossia resoconti dal vivo da persone che si trovano in zone di conflitti armati. Il fenomeno ha letteralmente spopolato in occasione della guerra in Iraq del 2003.
Fu il quotidiano britannico The Guardian a portare alla luce il caso di "Where is Raed?", un diario personale tenuto da un anonimo cittadino iracheno, un abitante di Baghdad che aveva voluto raccontare il suo punto di vista sui sei mesi che hanno portato alla guerra tra il suo paese e gli Stati Uniti.
L’indirizzo era dear_raed.blogspot.com. L’autore del blog era, stando a quanto si poteva leggere nei messaggi pubblicati, Salam Pax (ovviamente uno pseudonimo), un giovane Iracheno di 29 anni abitante a Baghdad che dichiarava di aver studiato all'estero, dove aveva imparato l'inglese e il tedesco, e di lavorare in una ditta dove realizzava disegni 3D.
Per sei mesi Salam Pax tenne un diario giornaliero sulle sue vicende personali e i preparativi per la guerra nella capitale irakena. Da dicembre 2002 all’inizio del conflitto, stando a un contatore, il suo blog avrebbe attratto oltre 150.000 utenti unici. Il blog si interruppe poco dopo l’inizio delle ostilità. In seguito Salam Pax è stato scovato dai reporter di The Guardian e i contenuti del suo blog sono diventati perfino un libro.
Contemporaneamente c’erano i blog dei militari americani, pienamente connessi anche sul teatro delle operazioni (almeno nelle basi…). Prendiamo il caso di < http//:www.lt-smash.us >. Lt. Smash era anch’esso uno pseudonimo: apparentemente un riservista richiamato per l’operazione Iraqi Freedom, che aveva deciso di offrire al mondo un “diario delle sue avventure”. Ci si trovavano diverse scenette “comiche”, messaggi dei famigliari, e un tributo a uno dei militari morti nei primissimi giorni di guerra. Anche questo blog divenne presto famoso, grazie a una menzione sul sito della CNN. In un caso e nell’altro si pongono ovviamente problemi di validazione.
Non c’era nessuna garanzia che Salam Pax e Lt. Smash esistessero davvero. Alla fine Salam Pax fu trovato, Lt Smash no. Molti anzi hanno denunciato la falsità di questo secondo blog segnalando come il sito fosse stato registrato solo dopo l’inizio del conflitto (molto dopo le sue prime notizie on line datate dicembre 2002, data della mobilitazione di Smash). Informazione che si poteva trarre dai dati sul possessore del dominio registrate nel whois dei domini .us < http//:www.whois.us >, da dove si scopriva tra l’altro che l’autore del blog ha fornito come “contact name” Bart Simpson. Del resto, Lt. Smash dichiarava sul suo blog di essere costretto a rimanere anonimo.
Senza nulla togliere all’importanza dello strumento per la navigazione su Internet, la situazione illustrata dai war blog dovrebbe far riflettere. A differenza di quanto avviene nel racconto giornalistico, il rapporto fiduciario tra lettore e autore del blog è di natura personale e non ci sono le garanzie di autenticità e correttezza professionale che dovrebbero essere caratteristica del racconto giornalistico.
In Italia le principali esperienze di giornalismo on line legate ai blog sono il Cannocchiale del Riformista e i blog del sito Repubblica.it. Il primo è un’iniziativa del quotidiano Il Riformista mirante a stimolare il contributo dei suoi lettori. L’iniziativa ha avuto un successo considerevole in termini di utenti e visite.
Il Cannocchiale rappresenta però non un vero prodotto editoriale, bensì uno spazio a disposizione degli utenti che, gratuitamente, si sono registrati. Pertanto fra i blog del Cannocchiale si può trovare un po’ di tutto. La Repubblica, sul suo sito, ha scelto una strada diversa. Ha lanciato una serie di blog curati dalle grandi firme del giornale, ciascuno su un tema specifico.
In questo caso, il controllo editoriale dello spazio rimane alla testata, che però adottando il formato e il linguaggio dei blog consente alle sue firme di costruire un dialogo più diretto, informale e immediato con i propri lettori. I blog del sito non assomigliano infatti agli articoli pubblicati nelle altre sezioni, ma sono davvero annotazioni e pensieri veloci che spesso chiamano in gioco l’opinione dei lettori.
A metà strada si colloca l’iniziativa editoriale di Bea che nel suo Beablog si fa filo conduttore per un giornalismo di denuncia sociale e critica consumeristica, facendo però largo uso dei contributi degli utenti. Questi esempi, tratti dalla situazione italiana dovrebbero suggerire che se da un punto di vista puramente organizzativo il blog è qualcosa di nettamente diverso da una pubblicazione giornalistica, tuttavia il formato del blog può essere facilmente integrato all’interno di un sito di giornalismo on line.
Un caso particolare a cavallo tra giornalismo e blog sono i siti di informazione dei cosiddetti “one man web” (Romagnolo e Sottocorona 1999), iniziative editoriali cioè portate avanti da singoli individui e fortemente associate al loro nome.
Uno degli esempi americani più famosi è il sito di Matt Drudge che legò il suo nome allo scoop per lo scandalo Lewinsky. Ma gli esempi si possono moltiplicare: questo tipo di iniziative editoriali “personali” sono particolarmente diffuse nell’informazione di settore. Romagnolo e Sottocorona (1999) descrivono una di queste pubblicazioni redatta da Randy Cassyngham alla fine degli anni Novanta:
“Il suo giornale, infatti, è redatto da una sola persona, lui stesso, ma conta ben 156 mila abbonati. Si tratta di un bollettino che viene inviato tramite posta elettronica in 143 Paesi: una serie d’informazioni curiose, a volte bizzarre, sempre rigorosamente vere. Non a caso la pubblicazione si chiama This is True, Questo è Vero… Fonte principale d’informazione di This is True sono i dispacci delle agenzie stampa reperibili su Internet, in particolare AP, Reuters e France Presse… Contrariamente a quanto fanno quasi tutti gli editori elettronici, il sito Web di This is True non è utilizzato per distribuire informazioni, ma solo per registrare gli abbonamenti, mentre la pubblicazione viene distribuita via e-mail.”
Le pubblicazioni degli one man web comunque differiscono spesso in modo sostanziale rispetto al modelli editoriali dei blog. Le notizie non prendono la forma di semplici annotazioni, ma di veri e propri articoli redatti con tutti i crismi del linguaggio giornalistico. Inoltre fatti, commenti e tono personale sono spesso tenuti sufficientemente distinti. Infine, le caratteristiche di ipertestualità e dialogismo che abbiamo visto come elementi fondanti dei blog sono spesso assenti a favore di un formati più simili a quelli giornalistici.
Tuttavia è interessante notare come non manchino i generi di confine, a dimostrazione che in questo campo ogni categorizzazione è per forza di cose imprecisa.
Fonte: www.urp.it
Testi di Mattia Miani
In effetti, diari on line sono esistiti da sempre. Perfino il primo sito web della storia, quello del Cern di Ginevra gestito dall’inventore del linguaggio ipertestuale per la pubblicazione di documenti on line Tim Barners-Lee, potrebbe essere definito un blog. Il termine blog è stato introdotto da Jorn Barger, curatore di un sito personale, nel 1997 per riferirsi alle pagine che gestiva.
Il termine nasce dalla contrazione di web e log: diario on line appunto. Fu in particolare Brigitte Eaton ad associare indissolubilmente l’idea di blog con quella di una pubblicazione di annotazioni organizzate cronologicamente: la Eaton pubblicò all’inizio del 1999 un portale, Eatonweb Portal, nel quale venivano registrati blog che rispettassero il requisito dell’organizzazione cronologica dei contenuti.
A quel tempo c’erano probabilmente non più di una trentina di siti che si riconoscevano dietro questa definizione (Blood 2000). Spesso i blogger – i curatori di un blog – non solo pubblicavano le proprie annotazioni on line, ma seguivano anche avidamente quelle dei colleghi, segnalando nelle proprie pagine web gli altri siti che visitavano (Blood 2000). Sin dall’inizio, dunque, lo strumento promosse non solo la condivisione di informazioni, ma anche la messa in relazione di persone.
Proprio nel 1999 il mondo dei blog registrò un salto di qualità grazie all’introduzione di servizi on line che consentivano di creare e tenere aggiornato un diario on line con un sistema accessibile anche a persone senza competenze tecniche. Tali servizi si basavano infatti su sistemi di content management, simili a quelli usati oggi per la gestione di siti editoriali, in cui per aggiornare i contenuti organizzati in una gabbia grafica predefinita era sufficiente compilare dei moduli on line. Prima di allora un blog era sostanzialmente la prerogativa di utenti esperti, dotati delle competenze tecniche necessarie per creare un sito.
A partire dall’introduzione di questi servizi il formato del blog divenne di dominio pubblico. Nel luglio 1999 fu lanciato il primo di questi sistemi, Pitas, e presto i blog attivi divennero centinaia. I servizi più noti e ancora oggi diffusi seguirono di lì a poco: in Agosto Pyra mise on line Blogger, Dave Winer introdusse il sistema “Edit This Page” e Jeff A. Campbell lanciò Velocinews. Tutti questi servizi erano rigorosamente gratuiti (Blood 2000).
Questa semplice rassegna dovrebbe suggerire che i blog sono molto di più che semplici diari on line. Essi hanno altre caratteristiche distintive. In primo luogo sono in genere associati ad individui, non organizzazioni. Pertanto sono espressione di informazione estremamente personalizzata proveniente da singoli individui che non operano all’interno delle classiche routine delle aziende editoriali. Si discute se anche i giornalisti professionisti debbano tenere blog e, qualora lo facciano, come considerare questi prodotti.
Indubbiamente, la natura immediata dell’informazione fornita dai blog porta molti ad affermare che essi rappresentano uno strumento utile per allargare il pluralismo dell’informazione e dare voce a più soggetti. Queste affermazioni vanno lette alla luce delle considerazioni che seguono.
Una seconda proprietà distintiva che emerge dalla storia dello sviluppo del web, è la sua ipertestualità. I link sono una componente fondamentale delle annotazioni dei blogger. Spesso è proprio un sito originale o una notizia letta on line a stimolare la pubblicazione di una nuova annotazione. Come conseguenza di questo, spesso le riflessioni contengono citazioni tratte da altri siti (facilitate dal semplice copia e incolla) e costituiscono microtesti in un certo modo non autonomi, ma sempre collegati alle pagine a cui rimandano.
L’importanza della dimensione ipertestuale dei blog è dimostrata tra le altre cose dal fatto che l’uso dei link su questi siti può perfino influenzare il posizionamento di una pagina su Google. Il motore di ricerca tiene infatti conto non solo dei contenuti di una pagina, ma anche dei link che essa riceve per determinarne l’indicizzazione in rapporto alle parole chiave usate nella ricerca (Miani 2004).
Un’importante conseguenza di questa situazione è che i blog svolgono un’importante funzione di filtraggio. I contenuti on line sono infatti derivanti dalle navigazioni dell’autore (o dagli autori se il blog è gestito da più persone).
Una terza proprietà che emerge dai blog è il dialogismo e la dimensione di “community” che li accompagna. Non solo i blog sono calati in una fitta trama ipertestuale di collegamenti, ma stimolano esplicitamente questa dimensione sollecitando i commenti dei lettori e spesso linkandosi ad altri blog.
Oggi, quasi tutti i sistemi di blog contengono la possibilità di accettare i commenti dei lettori sulle singole notizie pubblicate. In questo modo, i contenuti dei blog sono sempre aperti a forme di dialogo tra l’autore delle annotazioni, i suoi lettori e, perché no, perfino le fonti. C’è anche chi ha estremizzato questa situazione. Inventato dagli autori del popolare Hotornot, Yafro blog < http//:www.yafro.com > permette di uploadare le foto e di inserire nel profilo persone che l’utente ritenga simpatiche sulla base dei loro commenti e del loro modo di presentarsi.
Non sarà un caso che uno dei libri più citati dagli autori di blog è Linked, una bella introduzione allo studio delle reti sociali scritta da Albert-László Barabási (2003) (2).
Sono dunque i blog giornalismo? Lo sono nella misura in cui realizzano alcune funzioni tipiche del giornalismo come l’intermediazione e la selezione delle notizie. Tuttavia le similarità si fermano qui. Come prodotti individuali e di tono personale, non sono presenti molte delle caratteristiche del linguaggio giornalistico, per non parlare di quelle organizzative.
Un caso esemplare è rappresentato dal paragone tra i reportage di guerra e i cosiddetti “war blog”, ossia resoconti dal vivo da persone che si trovano in zone di conflitti armati. Il fenomeno ha letteralmente spopolato in occasione della guerra in Iraq del 2003.
Fu il quotidiano britannico The Guardian a portare alla luce il caso di "Where is Raed?", un diario personale tenuto da un anonimo cittadino iracheno, un abitante di Baghdad che aveva voluto raccontare il suo punto di vista sui sei mesi che hanno portato alla guerra tra il suo paese e gli Stati Uniti.
L’indirizzo era dear_raed.blogspot.com. L’autore del blog era, stando a quanto si poteva leggere nei messaggi pubblicati, Salam Pax (ovviamente uno pseudonimo), un giovane Iracheno di 29 anni abitante a Baghdad che dichiarava di aver studiato all'estero, dove aveva imparato l'inglese e il tedesco, e di lavorare in una ditta dove realizzava disegni 3D.
Per sei mesi Salam Pax tenne un diario giornaliero sulle sue vicende personali e i preparativi per la guerra nella capitale irakena. Da dicembre 2002 all’inizio del conflitto, stando a un contatore, il suo blog avrebbe attratto oltre 150.000 utenti unici. Il blog si interruppe poco dopo l’inizio delle ostilità. In seguito Salam Pax è stato scovato dai reporter di The Guardian e i contenuti del suo blog sono diventati perfino un libro.
Contemporaneamente c’erano i blog dei militari americani, pienamente connessi anche sul teatro delle operazioni (almeno nelle basi…). Prendiamo il caso di < http//:www.lt-smash.us >. Lt. Smash era anch’esso uno pseudonimo: apparentemente un riservista richiamato per l’operazione Iraqi Freedom, che aveva deciso di offrire al mondo un “diario delle sue avventure”. Ci si trovavano diverse scenette “comiche”, messaggi dei famigliari, e un tributo a uno dei militari morti nei primissimi giorni di guerra. Anche questo blog divenne presto famoso, grazie a una menzione sul sito della CNN. In un caso e nell’altro si pongono ovviamente problemi di validazione.
Non c’era nessuna garanzia che Salam Pax e Lt. Smash esistessero davvero. Alla fine Salam Pax fu trovato, Lt Smash no. Molti anzi hanno denunciato la falsità di questo secondo blog segnalando come il sito fosse stato registrato solo dopo l’inizio del conflitto (molto dopo le sue prime notizie on line datate dicembre 2002, data della mobilitazione di Smash). Informazione che si poteva trarre dai dati sul possessore del dominio registrate nel whois dei domini .us < http//:www.whois.us >, da dove si scopriva tra l’altro che l’autore del blog ha fornito come “contact name” Bart Simpson. Del resto, Lt. Smash dichiarava sul suo blog di essere costretto a rimanere anonimo.
Senza nulla togliere all’importanza dello strumento per la navigazione su Internet, la situazione illustrata dai war blog dovrebbe far riflettere. A differenza di quanto avviene nel racconto giornalistico, il rapporto fiduciario tra lettore e autore del blog è di natura personale e non ci sono le garanzie di autenticità e correttezza professionale che dovrebbero essere caratteristica del racconto giornalistico.
In Italia le principali esperienze di giornalismo on line legate ai blog sono il Cannocchiale del Riformista e i blog del sito Repubblica.it. Il primo è un’iniziativa del quotidiano Il Riformista mirante a stimolare il contributo dei suoi lettori. L’iniziativa ha avuto un successo considerevole in termini di utenti e visite.
Il Cannocchiale rappresenta però non un vero prodotto editoriale, bensì uno spazio a disposizione degli utenti che, gratuitamente, si sono registrati. Pertanto fra i blog del Cannocchiale si può trovare un po’ di tutto. La Repubblica, sul suo sito, ha scelto una strada diversa. Ha lanciato una serie di blog curati dalle grandi firme del giornale, ciascuno su un tema specifico.
In questo caso, il controllo editoriale dello spazio rimane alla testata, che però adottando il formato e il linguaggio dei blog consente alle sue firme di costruire un dialogo più diretto, informale e immediato con i propri lettori. I blog del sito non assomigliano infatti agli articoli pubblicati nelle altre sezioni, ma sono davvero annotazioni e pensieri veloci che spesso chiamano in gioco l’opinione dei lettori.
A metà strada si colloca l’iniziativa editoriale di Bea che nel suo Beablog si fa filo conduttore per un giornalismo di denuncia sociale e critica consumeristica, facendo però largo uso dei contributi degli utenti. Questi esempi, tratti dalla situazione italiana dovrebbero suggerire che se da un punto di vista puramente organizzativo il blog è qualcosa di nettamente diverso da una pubblicazione giornalistica, tuttavia il formato del blog può essere facilmente integrato all’interno di un sito di giornalismo on line.
Un caso particolare a cavallo tra giornalismo e blog sono i siti di informazione dei cosiddetti “one man web” (Romagnolo e Sottocorona 1999), iniziative editoriali cioè portate avanti da singoli individui e fortemente associate al loro nome.
Uno degli esempi americani più famosi è il sito di Matt Drudge che legò il suo nome allo scoop per lo scandalo Lewinsky. Ma gli esempi si possono moltiplicare: questo tipo di iniziative editoriali “personali” sono particolarmente diffuse nell’informazione di settore. Romagnolo e Sottocorona (1999) descrivono una di queste pubblicazioni redatta da Randy Cassyngham alla fine degli anni Novanta:
“Il suo giornale, infatti, è redatto da una sola persona, lui stesso, ma conta ben 156 mila abbonati. Si tratta di un bollettino che viene inviato tramite posta elettronica in 143 Paesi: una serie d’informazioni curiose, a volte bizzarre, sempre rigorosamente vere. Non a caso la pubblicazione si chiama This is True, Questo è Vero… Fonte principale d’informazione di This is True sono i dispacci delle agenzie stampa reperibili su Internet, in particolare AP, Reuters e France Presse… Contrariamente a quanto fanno quasi tutti gli editori elettronici, il sito Web di This is True non è utilizzato per distribuire informazioni, ma solo per registrare gli abbonamenti, mentre la pubblicazione viene distribuita via e-mail.”
Le pubblicazioni degli one man web comunque differiscono spesso in modo sostanziale rispetto al modelli editoriali dei blog. Le notizie non prendono la forma di semplici annotazioni, ma di veri e propri articoli redatti con tutti i crismi del linguaggio giornalistico. Inoltre fatti, commenti e tono personale sono spesso tenuti sufficientemente distinti. Infine, le caratteristiche di ipertestualità e dialogismo che abbiamo visto come elementi fondanti dei blog sono spesso assenti a favore di un formati più simili a quelli giornalistici.
Tuttavia è interessante notare come non manchino i generi di confine, a dimostrazione che in questo campo ogni categorizzazione è per forza di cose imprecisa.
Fonte: www.urp.it
Testi di Mattia Miani
0 commenti:
Posta un commento